Un Paese cristallizzato nel tempo, costretto a pensare e a parlare di modernità. La Corea del Nord ha partecipato alla Biennale di Venezia con un padiglione strepitoso dedicato all’intera Corea, Nord e Sud, che si è aggiudicato il Leone d’Oro per la migliore partecipazione nazionale. Il tema proposto dal curatore Koolhaas era “Absorbing modernity” e il padiglione coreano è stato pensato in quattro parti: “Reconstruction Life”, “Monumental State”, “Utopian Tours: the Nick Bonner Collection”, “Borders”. “Utopian tours” è la sezione maggiormente rivolta al futuro, un futuro utopico ma libero, nel quale si può dare sfogo all’immaginazione, per una volta senza restrizioni e catene di nessun tipo.
Il curatore, Nick Bonner, ha chiesto ad un gruppo di architetti del Paekdusan Construction and Architectural Research Institute di Pyongyang di immaginare quali infrastrutture per il turismo la Corea del Nord potrebbe ospitare: ecco allora comparire avveniristici hotel, ponti sospesi sul cielo tra le montagne, parchi che sembrano uscire da un romanzo di fantascienza.
I disegni a colori che costituiscono questo progetto sono divisi tra anelito alla libertà e conformità ad un modo di vivere e di pensare radicato nella cultura nordcoreana. Forme e strutture che richiamano l’architettura comunista, rigida e squadrata, si uniscono a colori e costruzioni fantasiose e sorprendenti. Elementi della cultura nordcoreana si mescolano spavaldamente a concezioni occidentali.
C’è ad esempio la Cooperativa della Seta, una struttura imponente in cui le ruote del telaio della tradizione coreana diventano il modello per costruire edifici circolari ricoperti da pannelli solari, intervallati da turbine eoliche. Il tutto è sospeso su un manto d’acqua che definisce i confini di questa struttura altamente tecnologica e a basso consumo energetico.
Immaginate oppure una villa strutturata come il Nido di un uccello, in cui le stanze sono pagode interconnesse le une con le altre e ricordano l’architettura organica di Frank Lloyd Wright, in un perfetto equilibrio con la natura circostante. Una villa turistica, però, può avere anche i tratti di una comune e ci si va in gruppi vacanza. Lo scopo è quello di favorire la socializzazione, lo stare insieme, lo scambio di idee e di opinioni. Ecco perché non ci sono corridoi ma atri, e le stanze sono ariose, spiritose, dominate dalle vetrate: è importante agevolare il contatto visivo e umano tra gli ospiti, e ciò che è mio può essere anche tuo. Altrimenti che nido sarebbe?
In una città turistica non può mancare il ponte panoramico. Tutte le grandi città che si rispettino ne hanno uno, da Londra a New York, da Istanbul a Roma. Il ponte pensato dagli architetti nordcoreani non collega, però, due sponde della città. È un’architettura sospesa tra due montagne, in alto, lì dove osano solo le aquile, per consentire ai turisti di sperimentare le emozioni del volo. Al centro il ponte si biforca in due strade per poi ricongiungersi a formare un ovale dal quale ammirare il panorama da un’altra prospettiva. Una struttura che sfida qualsiasi legge, anche quella delle costruzioni, per vincerla con il senso di leggerezza ed evasione che emana.
Il tour utopico è solo iniziato. Si snoda ancora per chilometri e chilometri, incontrando ogni volta edifici che tendono verso l’alto, evitano in qualunque forma l’immagine della prostrazione, cercano la comunione e la convivialità, non tradiscono il mondo culturale di coloro che li ha pensati, ma al contempo vanno oltre, in un grido creativo che invoca apertura, libertà d’espressione, novità.